Proponiamo e pubblichiamo intervista a cura di Stefano Fontana direttore dell’Osservatorio Card. Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, che ringraziamo per la gentile concessione, al prof. Gianfranco Battisti, professore associato di Geografia politica ed economica ed ordinario di Geografia presso l’Università di Trieste. Autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche, ha diretto per 12 anni la rivista Ambiente Società Territorio-Geografia nelle Scuole. Responsabile del Dottorato di Ricerca in Geostoria e Geoeconomia delle regioni di confine (1995-2007). Coordinatore fino al 2015 del Gruppo di Lavoro AGEI sulla Geografia dell’energia, si dedica attualmente alle tematiche della globalizzazione ed alle Geografie del Sacro.
La guerra in Ucraina viene letta secondo vari registri, compreso quello culturale e teologico. Con lei, professore, vorremmo invece attenerci strettamente ad un discorso geopolitico. Vedo il pericolo che altri approcci finiscano per gettare fumo su questo tipo di analisi e perfino accennarne viene considerato inopportuno. La prima domanda che le faccio, da questo punto di vista, è la seguente: i Paesi che contrastano la Russia [non li chiamo occidentali perché anche la Russia fa parte dell’Occidente per storia e cultura come abbiamo segnalato in una nostra Nota [vedi]) sembrano considerare indegno anche solo prendere in considerazione le ragioni geo-politiche della Russia.
Mi chiedo: come si può intavolare negoziati di pace se non si esaminano le ragioni – qualsiasi esse siano – del Paese con cui si intende trattare?
Premesso che la geopolitica non è una branca dell’etica né un esercizio di giornalismo, bensì analisi approfondita e cruda della realtà, direi che l’interrogativo che mi viene posto ha in sé implicitamente la sua risposta. In tutto l’Occidente le autorità – ed i media al 95 per cento – assumono come dato di fatto che la Russia sia dalla parte del torto, a prescindere. Il che non può essere vero, dato che il bene e il male non si possono dividere con un confine politico.
Ne consegue che, al di là dei discorsi di facciata, non c’è alcuna intenzione di negoziare. Va anche detto che questo è un conflitto che spiazza quasi tutti i governi, rendendoli incapaci di reagire in modo razionale. Di fatto, lo scontro non è tanto tra Russia e Ucraina: siamo di fronte alla fase finale del confronto Est-Ovest che ci eravamo illusi si fosse concluso nel 1990.
L’unica differenza rispetto al passato è che oggi la Russia appare sola a sostenere l’offensiva dell’intera coalizione occidentale, con tutti i rischi che comporta mettere in crisi una potenza nucleare. Appare inoltre chiaro che si tratta in realtà di un braccio di ferro USA-Russia. Quanto agli altri, l’Ucraina “si offre” come campo di battaglia, mentre i restanti membri della NATO si rivelano una coorte di Stati satelliti, per lo più coinvolti senza troppa convinzione. I loro leder pretendono di darsi una parvenza di iniziativa politica (sia a livello interno che continentale), finendo in realtà coll’assumere un comportamento masochistico.
Ogni guerra che non sia solo locale – e questa in Ucraina non si può considerare solo locale – produce grandi cambiamenti nelle società, nella cultura, nell’assetto globale dei sistemi economici e politici. Pensiamo a quanto generato, in questo senso, dalle due Guerre mondiali. Secondo lei anche questa guerra produrrà effetti di grande portata? Sarà un’occasione per un Great Reset del resto già in atto?
Questa è fuor di dubbio una guerra sistemica: segnerà il passaggio dal mondo come l’abbiamo conosciuto ad uno assai diverso e verosimilmente peggiore. Le forze che hanno spinto scientemente la Russia in un’avventura che si sta rivelando una trappola sono le stesse che tramano per imporre il Great Reset, quanto meno all’intera area OCSE (ma dietro c’è in gioco la ridefinizione dell’egemonia mondiale). Un progetto che rappresenta l’ultima spiaggia per garantire una sopravvivenza minimale agli USA, superpotenza militare dietro alla quale non c’è più un’economia e, a quanto sembra, neanche una società che possa definirsi civile.
Sul piano locale, in una logica di altri tempi, per l’Ucraina potrebbe essere la “guerra fondativa” di una comunità statuale finalmente indipendente. Ma i tempi, purtroppo, non sono più tali da consentirlo. Il meccanismo messo in moto non si potrà – non si vorrà – fermare. In tutta la vicenda quello che fa tenerezza è il popolo ucraino, a cui è stato promesso in malafede un futuro radioso, mentre si troverà ad ereditare una distesa di macerie; ragion per cui avrà un destino di emigrazione, proprio come sta avvenendo per i siriani.
Sul piano militare si tratta di una guerra preventiva, che ha fondamentalmente due obiettivi: 1) impedire definitivamente lo stabilimento di relazioni normali tra i Paesi UE e la Federazione Russa, con ciò congelando la logica anglo-americana codificata nel 1904 da Sir Halford Mackinder, il “padre” della geopolitica britannica; 2) sferrare un colpo mortale alla Russia, indebolendola nella prospettiva dello scontro decisivo con la Cina. L’interesse è chiaramente tutto delle due potenze atlantiche (e qui si comprendono le vere ragioni dell’uscita, altrimenti incomprensibile, della Gran Bretagna dall’Europa), perché una UE privata delle materie prime e del mercato russo si trasformerà ineluttabilmente in una immensa colonia, totalmente soggetta alle “cure” delle multinazionali atlantiche. Quanti pensano che questa possa essere l’occasione per la nascita di un “vero” Stato europeo farebbero bene a non esagerare con gli alcolici. In ogni caso il movimento sismico che si è innescato non è destinato a stabilizzarsi se non tra parecchi anni.
L’Italia ha assunto un atteggiamento piuttosto “spericolato” a proposito della guerra in Ucraina. Il discorso del Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi al Parlamento dell’ 1 marzo 2022 è stato piuttosto “belligerante”, in forte contrasto con la tradizionale politica estera italiana. Ciò significa che in questo momento una politica estera italiana non c’è e l’Italia assume atteggiamenti decisi da altri?
Alla stregua di Monti, Draghi non è un presidente eletto dagli italiani, è in primo luogo un banchiere, legato quindi agli interessi finanziari internazionali. È un uomo di apparato, un manager abile ma la cui libertà d’azione trova severi limiti nelle direttive che gli giungono dall’alto e che lui poi fa ricadere come macigni su un parlamento allo sbando. Pensare che possa, quand’anche lo volesse, impostare una politica estera “italiana” sarebbe peccare di ingenuità.
Quel che è peggio è che al momento nessun politico italiano sembra possedere le doti indispensabili per guidare il Paese. L’unica speranza sarebbe che, nella migliore tradizione italiana, le parole di Draghi siano, appunto, solo parole. Mi sembra invece che alle parole dovranno seguire i fatti, tanto più che alzare la spesa militare al 2% del pil è un mantra con cui gli USA martellano gli europei da anni.
Come risposta “europea” all’invasione russa dell’Ucraina si parla insistentemente di finanziare un aumento delle spese militari dei Paesi dell’Unione Euirpea nella prospettiva di costituire una forza militare autonoma. Come valuta questa inquietante prospettiva?
In costanza di una crisi economica che si prospetta spaventosa, per gravità, estensione spaziale e temporale, l’idea stessa di aumentare la spesa militare ha dei connotati molto negativi. Certo è che quando le cose vanno male, le classi politiche responsabili dello sfascio economico e sociale dei loro Paesi si gettano con entusiasmo nella corsa agli armamenti. Si illudono così di fare qualcosa per risollevare l’economia, mentre pregustano le tangenti che ne ricaveranno.
In realtà, questa è una strada che porta dritta all’inferno, poiché le armi, una volta in mano, finiscono inevitabilmente per venire impiegate. Anche lo stato di guerra fa gola ai politici falliti, così possono mettere a tacere ogni forma di protesta. In ogni caso, acquistare armi quando i bilanci sono in rosso profondo significa impedire ogni discorso serio sul risanamento.
Quanto all’ambizione di una forza militare europea, questa è l’ennesima truffa che i politici di Bruxelles regalano ai nostri popoli. Tutti sanno (e loro per primi) che gli USA non permetteranno mai la nascita di un apparato militare europeo autonomo dal loro controllo.
Infine, perché mai dovremmo armarci?
La tragedia ucraina sta dimostrando ad abundantiam che la Russia non costituisce affatto un pericolo per l’Europa. Non solo perché il suo principale interesse è continuare a venderci – come sta facendo nonostante tutto – le sue materie prime, ma semplicemente perché non dispone affatto di un apparato militare in grado di impensierirci.
Dunque, non ci pensa nemmeno ad aggredirci. Siamo in presenza di una colossale mistificazione, che ereditiamo dalla “guerra fredda” e che vede oggi tra gli artefici anche la “classe dirigente” di Kiev. Piuttosto, si è mai accorto qualcuno dei tanti benpensanti in circolazione, del fatto che la UE, giorno dopo giorno, si sta sgranocchiando la Russia? E non sempre pacificamente?
Nella logica d’oltre Atlantico, l’obiettivo a breve termine è di fare cassa vendendoci armamenti obsoleti, quello a lungo termine è di far combattere la III guerra mondiale in Europa ed in Asia, anziché negli USA. Parliamo di guerra nucleare, perché gli F35 a cui siamo tutti così interessati, a questo servono. Che nessuno riesca a comunicare queste elementari verità la dice lunga sulla cappa di piombo che è calata sui nostri media, complice una pandemia annunciata in anticipo..
Cosa pensa del progetto di far coincidere l’Unione Europea con l’Europa?
Si tratta di una visione miope, partorita dalle menti dei politici, che generalmente non appartengono alla categoria dei grandi pensatori. È per giunta falsa sotto il profilo geografico, storico, culturale. Se poi guardiamo alla Russia, quanto meno quella cosiddetta europea (che non è piccola cosa), dobbiamo constatare con non poca preoccupazione che nonostante tutto essa rappresenta oggi quanto rimane dell’idea di Europa che abbiamo sin qui coltivato con tante speranze. È in questo immenso paese che l’Europa costituisce ancora un mito, mentre da noi prevale un cupio dissolvi che abbiamo importato dall’America, non si sa quanto spontaneamente.
Ritorna qui di attualità un ammonimento troppo presto dimenticato: “L’Europa sarà cristiana o non sarà”. Non saranno certo le armi ad unirci, semmai serviranno a distruggerci. In quest’ottica, l’aver operato pervicacemente per innalzare un muro di odio, che concorre a dividere i cristiani dell’Est da quelli dell’Ovest, è un delitto che grida vendetta a Dio. E su questo punto i cristiani in Europa, purtroppo, non sempre hanno la coscienza pulita. Emblematica è la reazione in Ucraina al messaggio di pace lanciato durante la Via Crusis a Roma.